La congiura non risolve la crisi della repubblica romana. Marco Antonio, console designato e fedelissimo luogotenente di Cesare, si fa consegnare il testamento e i decreti di Cesare dalla moglie Calpurnia, e ne ottiene la ratifica dal senato. Antonio intende presentarsi come il legittimo erede politico di Cesare.
Nel testamento Cesare aveva nominato suo figlio adottivo Gaio Ottavio Turino, il giovanissimo nipote (era nato nel 63) che ne aveva conquistata la fiducia. Ottavio, preso il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, diviene così erede di gran parte della fortuna del dittatore.
Ottaviano sa sfruttare abilmente l’adozione per tessere un complesso e ambiguo gioco politico: da una parte cerca di guadagnare la fiducia del senato avvicinandosi a senatori influenti come Cicerone (che non esita poi a rinnegare), dall’altra si presenta alla plebe urbana come cesariano intransigente. Provvede infatti alle elargizioni di denaro promesse nel testamento di Cesare, attingendo alle proprie casse personali: in particolare, il donativo ai veterani dell'esercito è una specie di investitura politica, essendo i veterani la base sociale del 'partito' cesariano. Tra le loro file, Cesare Ottaviano forma una sua milizia personale, legata alla memoria di Cesare. Anche Ottaviano si presenta come l’erede politico di Cesare.
Antonio cinge d’assedio Modena, dove Decimo Bruto si era arroccato, non volendo cedergli il governo della Gallia Cisalpina. In senato prevale il parere di Cicerone, il più strenuo oppositore di Antonio, che l'oratore andava attaccando da mesi con le orazioni Filippiche: contro Antonio, dichiarato nemico pubblico, viene deciso l'intervento armato e se ne affida l'esecuzione ai consoli Aulo Irzio e Vibio Pansa. Ottaviano non esita allora a mettersi al servizio del senato con il proprio esercito personale, ottenendo un comando propretorio: può così combattere il rivale con l'avallo ufficiale dello stato. A Modena Antonio viene sconfitto ma riesce a riparare con l'esercito quasi intatto nella Gallia Narbonese, dove si unisce alle legioni di un altro generale cesariano, M. Emilio Lepido.
A Modena erano caduti in battaglia entrambi i consoli. Allora Ottaviano, con il suo esercito, si dirige verso Roma dove si fa eleggere console insieme con il cugino Quinto Pedio: la prima, vincente mossa per impadronirsi del potere. Ottaviano vuole arrivare all’accordo con il rivale in una posizione di vantaggio.
Ottaviano e Antonio giungono a un accordo con la mediazione di Lepido, a Bologna: viene istituito il secondo triumvirato, una magistratura di durata quinquennale per il governo dello stato. I triumviri decidono la guerra ai cesaricidi: sono varate nuove liste di proscrizione e tra le vittime più illustri cade Cicerone, abbandonato da Ottaviano all'odio vendicativo di Antonio.
Lo scontro definitivo avviene nei pressi di Filippi (nella provincia di Macedonia), nell'autunno del 42, in due battaglie consecutive: i capi della congiura sono sconfitti e si tolgono la vita. I vincitori di Filippi ridefiniscono le rispettive aree di influenza: Antonio si aggiudica l'Oriente, Ottaviano amplia i propri territori in Occidente, a Lepido viene lasciata l'Africa.
I due rivali si incontrano a Brindisi e rinnovano l'accordo: confermata l'assegnazione dell'Oriente a Antonio e dell'Occidente a Ottaviano, che relega Lepido in posizione marginale. Inoltre i due capi assegnano un comando marittimo a Sesto Pompeo in cambio dell'impegno a cessare l’attività di pirateria nel Mediterraneo. L'alleanza viene sancita dal matrimonio di Antonio, rimasto vedovo di Fulvia, con Ottavia, sorella di Ottaviano, il quale a sua volta aveva sposato poco tempo prima una parente di Sesto Pompeo, Scribonia.
ln Oriente Antonio ottiene una prima vittoria sui Parti e avvia la soluzione della questione d'Armenia e dei territori dell'Asia Minore. Nel 37 i due generali si incontrano a Taranto, dove con la mediazione di Ottavia si accordano per il rinnovo quinquennale del triumvirato e concludono un patto di reciproco aiuto: Antonio avrebbe dovuto inviare al collega centoventi navi da impiegare nella guerra contro Sesto Pompeo, Ottaviano quattro legioni per la campagna partica.
Inviata a Ottaviano la flotta richiesta, senza peraltro ricevere da lui le quattro legioni pattuite, Antonio inizia l'invasione del regno dei Parti, ma è presto costretto a ritirarsi con gravi perdite. Ottaviano, intanto, affiancato dal legato Marco Vipsanio Agrippa, riprende la guerra contro Sesto Pompeo e lo sconfigge definitivamente nel 36.
La vittoria su Sesto Pompeo libera Roma dalla minaccia costante della carestia. Ottaviano sa sfruttare il successo per presentarsi come salvatore della patria e tutore dell'ordine. In segno di onore è attribuita a Ottaviano l'inviolabilità dei tribuni della plebe, un provvedimento che rafforza ancora la sua posizione di potere. Ottaviano estromette dal triumvirato Lepido, che conserva soltanto la carica di pontefice massimo.
Intanto Antonio, ordinata l'Asia Minore in un sistema di stati vassalli governati da sovrani a lui fedeli, nel 34 invade l’Armenia e ne annuncia trionfalmente la conquista.
A Roma però Ottaviano, per motivi politici e per mettere Antonio in cattiva luce agli occhi dei Romani, enfatizza la cosiddetta «donazione» di questi territori, soggetti al potere di Roma, alla sovrana d'Egitto Cleopatra, con cui fin dal 37 aveva stretto un legame amoroso e di alleanza politica; la “donazione” riguarda anche i figli nati dalla loro relazione, Elio e Selene (in greco Sole e Luna).
In realtà il ruolo di Cleopatra al fianco di Antonio non fu quello dell’amante ammaliatrice e dispotica, come volle la propaganda di Ottaviano. Cleopatra collaborò con Antonio nella costruzione della politica orientale di Roma: i territori d'Oriente, di forte tradizione ellenistica, retti per secoli da monarchie con connotazione divina, non potevano essere governati come le province occidentali, non a caso la politica impostata da Antonio sul modello orientale fu adottata anche da Ottaviano e dai suoi successori. Tuttavia la propaganda ostile dipinse Antonio come un dissoluto in preda agli inganni di una donna perversa, un traditore del costume romano.
Dal 34 Ottaviano si avvale del suo stretto consigliere Mecenate per la costruzione di un apparato ideologico che giustifichi la guerra per la conquista del potere assoluto. Il fulcro della propaganda è il "primato" dell’Italia, terra fertile e laboriosa cui spetta la preminenza nell’Impero. Inoltre, contro il lusso e la mollezza orientale, che sarebbero incarnati da Antonio, Ottaviano si fa alfiere del mos maiorum e del ritorno alle tradizioni della società agraria arcaica; in opposizione all'assolutismo ellenistico di Cleopatra vuole dimostrare la superiorità della libertà garantita dalle istituzioni repubblicane. La propaganda di Ottaviano mostra che era necessario costruire un impero universale che avesse come centro Roma e l’Italia, per difendersi dalla minaccia proveniente dall’Oriente. Il risultato politico di questa operazione di propaganda è il giuramento che le città italiche prestano a Ottaviano nel 32, affidandogli l’incarico di condurre la guerra contro Cleopatra. Egli giustifica così una nuova guerra civile, presentandola come una guerra contro un nemico esterno.
Lo scontro definitivo ha luogo nel 31 con la battaglia navale ad Azio, di fronte alle coste meridionali dell'Epiro: da un lato la flotta di Ottaviano comandata da Agrippa, dall’altro le navi romane di Antonio e quelle egiziane di Cleopatra. Quando Cleopatra decide di uscire dalla battaglia e si dirige verso l’Egitto, Antonio la segue abbandonando i suoi uomini. I comandanti delle navi di Antonio, allora, fanno cessare la battaglia e si accordano con Agrippa per passare dalla parte di Ottaviano. Ad Alessandria, Antonio e poi Cleopatra si danno la morte nell’estate del 30.
Ottaviano ha di fronte il delicato problema di dare veste giuridica al suo potere personale enorme, raggiunto in nome della difesa della tradizione repubblicana. Si era compiuta una vera rivoluzione, e dunque occorreva restaurare la legalità istituzionale e porre fine agli anni di guerra civile.
Nelle Res gestae divi Augusti, resoconto con cui Augusto dà ’interpretazione ufficiale e autorizzata dei fatti che lo portarono al vertice dello stato, egli sostiene di avere esercitato il potere assoluto in base a un non meglio definito consensus universorum. Di fatto la posizione di Ottaviano dopo Azio non aveva una base giuridica solida, secondo il tradizionale ordinamento dello stato romano.
Nel 27 il senato, confermati i precedenti poteri costituzionali, conferisce a Ottaviano un imperium sulle province non pacificate dove erano stanziati gli eserciti: insieme al consolato, rappresenta la base del suo potere personale per alcuni anni. Sempre nel 27 il senato attribuisce a Ottaviano il titolo di “Augusto” e consacra uno scudo con incise le virtù fondamentali che gli si riconoscono come capo dello stato: Iustitia, Pietas, Clementia, Virtus.
La posizione giuridica di Ottaviano viene definitivamente precisata nel 23. Abbandonato il consolato, rivestito ininterrottamente dal 31, Ottaviano ottiene l'imperium proconsolare su tutte le province, anche su quelle che nell'assetto del 27 erano rimaste sotto la giurisdizione del senato, e la tribunicia potestas, cioè i poteri e i privilegi propri dei tribuni della plebe. L’estensione del potere proconsolare pone sotto la sua diretta autorità l'intero territorio imperiale e le legioni, mentre la tribunicia potestas gli assicura il controllo della vita politica, con il potere di indire le assemblee, di proporre le leggi e di esercitare il diritto di veto. Ottaviano rinuncia a essere console, ma in tal modo ha nelle mani uno strumento di contrattazione con il senato, poiché può favorire l'ascesa dei senatori a quella carica prestigiosa, sebbene con poteri sempre più limitati.
La soluzione adottata da Augusto si fonda sul rispetto formale delle istituzioni repubblicane, realizzando però un sostanziale accentramento dei poteri: l'espediente di esercitare le funzioni proprie di una magistratura senza rivestire la magistratura stessa gli permette di cumulare poteri inconciliabili nella forma repubblicana pura, come appunto la tribunicia potestas, incompatibile con il comando militare e l'imperium proconsolare. Ottaviano è di fatto un monarca, ma sotto il profilo giuridico è soltanto un princeps inter pares, il primo tra suoi pari, senza rivestire alcuna magistratura. Diventa prassi che nei comizi elettorali vengano eletti alle magistrature repubblicane i candidati consigliati da Augusto.
In pratica il senato viene progressivamente esautorato dalle sue funzioni, i singoli senatori sono chiamati a svolgere una serie di incarichi che ricadono sotto la giurisdizione del principe. Nella maggior parte delle province, per esempio, Augusto esercita il governo per mezzo di legati che sceglie tra i membri del senato; alcune province invece sono affidate dal principe a procuratori, anch'essi alle sue dirette dipendenze, ma tratti dall'ordine equestre. In ogni caso i governatori non sono sottoposti all’autorità del senato bensì alla volontà di Augusto.
La produzione letteraria che va dalla morte di Cesare alla morte d’Augusto (o, più precisamente, dal 43 a.C., morte di Cicerone, al 17 d.C., morte di Ovidio) è compresa dagli storici della letteratura sotto il nome di "età augustea".
Questo tipo di periodizzazione ha dei vantaggi sul piano della cronologia letteraria. Fra il 44 e il 43 muoiono Cesare e Cicerone, le due figure guida della politica e della cultura nell'età della tarda repubblica. La voce di Cicerone si spegne nel dicembre del 43; e a partire dal 42 il giovane Virgilio lavora alle Bucoliche. Da questo momento in poi, tutte le figure dominanti della nuova poesia hanno precisi e documentati rapporti con Augusto e il suo entourage. La carriera poetica di Virgilio e Orazio ci conduce sino agli anni del principato e, con l'ultimo Orazio, sino alle soglie dell'era cristiana. Nel frattempo si afferma Ovidio, che tiene ininterrottamente la scena sino all'esilio e poi alla morte, avvenuta solo tre anni dopo quella di Augusto. A pochi mesi di distanza da Ovidio scompare anche Livio, il principale storico del periodo augusteo.
Le guerre civili, compresa l’ultima tra Ottaviano e Antonio, avevano sconvolto non più solo Roma, da tempo lacerata dalle vendette politiche, ma anche il mondo della provincia italica, un tempo tranquillo. Gli effetti devastanti della guerra civile avevano colpito innocue popolazioni di agricoltori, vissute fino ad allora al riparo da qualsiasi mutamento politico, ma che vengono sconvolte da vessazioni e dagli espropri per la distribuzione di terre ai soldati veterani dei vincitori.
Anche poeti come Virgilio e Orazio, figli di piccoli proprietari di provincia, sono da annoverare tra le vittime della crisi: Virgilio, a quanto si tramanda, ha perso i suoi terreni, anche se li ha poi riacquistati in circostanze eccezionali; Orazio, giovanissimo, ha combattuto dalla parte perdente a Filippi, nel 42, ed è, negli anni successivi, un reduce allo sbando, senza una posizione definita. La politica ha portato nelle loro vite solo delusioni e amarezze. Questi poeti trovano nel loro coetaneo Ottaviano protezione e sostegno: non solo permette loro una tranquilla carriera poetica, ma si presenta come la promessa dell'ordine e della ricostruzione nazionale.
Dopo il 31 Ottaviano non è più il capo di una fazione in lotta: i suoi poteri annunciano una nuova stagione politica, che da un lato guarda alla restaurazione di certe tradizioni, dall’altro e molto più concretamente getta le basi del principato, dello stabile comando di un uomo solo sulla res publica. In questo processo la posizione di Virgilio e Orazio è abbastanza chiara: la loro speranza in Ottaviano coincide con la speranza in qualcuno che porterà la pace e metterà fine alle guerre civili, e le Georgiche esprimono bene questo sentimento.
Si apre così, all'incirca dopo Azio, una fase di concordia e di ricostruzione. Non sembra che Augusto e Mecenate esercitassero un vero e proprio controllo sulla letteratura: i più grandi poeti romani erano già, oggettivamente, legati a Mecenate e al partito di Ottaviano, e i loro interessi coincidevano spontaneamente con il partito del princeps. Non c'è in loro alcun rimpianto per la res publica aristocratica di Cicerone; essi hanno sentito sulla loro pelle il bagno di sangue provocato dagli uccisori di Cesare. Da qui si spiega quella specie di cooperazione politico-culturale in cui i poeti hanno spesso un ruolo attivo e individuale.
Nel nuovo clima politico e civile nascono opere di straordinario equilibrio classico, come le Odi oraziane e i capolavori di Virgilio: non mancano però sottili contraddizioni. Il nuovo potere trae la sua legittimazione dalla necessità di estinguere le guerre civili; ma Ottaviano, prima che uomo di pace e fondatore del nuovo equilibrio, è stato un protagonista di quello scontro apocalittico. Anche il nuovo eroe epico, Enea, celerà nel suo animo tormentato gravi contraddizioni: ha il compito, assegnatogli dal fatum, di dare origine alla storia di Roma, ma per farlo deve farsi portatore di guerra, e affrontare sensi di colpa. Enea, sottolinea Virgilio, non provoca la guerra, ma non può sottrarvisi; dovrà persino, e sarà la prova più dura, uccidere con furia un nemico cui potrebbe concedere clemenza, il re dei Rutuli, Turno.
Sul piano strettamente letterario, la caratteristica più saliente della letteratura dell’età augustea è la sua eccezionale, irripetibile densità di capolavori. Nel giro di un ventennio sono attivi Virgilio, Orazio, Properzio, Tibullo, Ovidio, autori di testi che rimangono- ognuno nel suo genere - i classici della cultura latina; possiamo aggiungere Livio per la storiografia.
Per i poeti augustei la grande letteratura greca è tutta viva nei suoi capolavori: la grandezza di Omero, la forza della poesia di Archìloco, come pure la perfezione formale degli alessandrini.
Ma i poeti augustei intendono produrre delle opere che stiano sullo stesso piano dei modelli greci, un equivalente romano che sappia proporsi insieme come trasformazione del modello e come sua continuazione. Virgilio lavora con terribile accanimento formale a ricreare in sé un nuovo stile epico nutrito di Omero; ma la sua scommessa non è solo un'emulazione formale: l'intenzione è creare un testo epico che abbia a Roma la stessa centralità culturale che Omero ha avuto per i Greci.
Nel giro di un quarantennio circa, diversi scrittori riescono nell'impresa straordinaria di realizzare un corpus di opere paragonabile a quello della letteratura greca. Sono mossi da un comune impegno di pianificazione culturale, ma ognuno di loro ha le sue personali preferenze letterarie. Li accomuna l'orgoglio del compito che si sono dati, orgoglio che va crescendo man mano che nuove realizzazioni poetiche vengono compiute. La letteratura dell’età di Augusto mira ormai consapevolmente a organizzarsi in un sistema articolato di generi, possiede un’ampia varietà differenziata di linguaggi, è matura per coprire tutte le diverse esigenze di rappresentazione ed espressione. Inoltre, il solido possesso di mature categorie formali si accompagna all’ambizione necessaria a servirsene.
Per i poeti augustei, insieme a una nuova più forte coscienza dei compiti affidati alla letteratura, nasce forse anche un nuovo stato culturale: non più solo abili "facitori" di versi, non più solo artisti, ma vates, cantori ispirati destinati a una più alta e importante funzione. Sia Virgilio sia Orazio rappresentano un momento di valorizzazione del "poeta vate", segno della funzione nuova che la cultura augustea vuole assegnare all'attività e all’impegno poetico. Significa modificare l'immagine alessandrina del comporre poesia (centrata sull’abilità tecnica e sull’erudizione) per fare posto a un ideale di poeta ispirato e insieme fortemente impegnato nella società.
Nascono così alcuni testi che hanno un profondo rapporto con le tendenze culturale e civili dell’età augustea. Lo sforzo di competere con i grandi classici greci comporta anche quello di allargare il lavoro poetico verso nuovi temi ed esperienze.
Virgilio dà forma al grande mito della campagna italica con le Bucoliche e ancor più con le Georgiche; Orazio parla nelle Odi romane di grandi temi civili e morali rivolgendosi alla comunità dei cittadini.
Mecenate è il vero centro di attrazione di tutta la generazione poetica augustea. Nativo di Arezzo, in terra etrusca, è insieme un aristocratico e un "borghese": era infatti di nobilissima famiglia etrusca ma, da cittadino romano, non volle mai andare oltre lo stato di cavaliere, eques, e non occupò mai vere e proprie cariche ufficiali. Negli anni infuocati delle guerre civili, Mecenate era stato un importantissimo consigliere diplomatico e politico di Ottaviano; dopo l’arrivo di Ottaviano al potere personale, Mecenate continuò ostentatamente a non integrarsi nel tradizionale sistema politico romano, quel sistema cui Augusto assicurava la continuità mostrando grande rispetto per il senato e per le magistrature tradizionali, che restarono sempre in vita. Mecenate, uomo di potere che rifiuta le cariche ufficiali e tradizionali, è una sorta di simbolo vivente dei tempi nuovi. Il suo circolo, fondato su stretti legami privati e individuali, promuoveva una letteratura "nazionale": una letteratura a forte impegno ideale e civile: le Georgiche, l'Eneide di Virgilio, le Odi, le Epistole di Orazio. Per parte sua invece Mecenate coltivava invece una poesia scherzosa, intimistica e ironica. Come letterato non ebbe fortuna, e certamente non era questa la sua ambizione.
La presentazione delle opere si trova nell’introduzione alle singole opere: Bucoliche, Georgiche, Eneide
Autore dalla straordinaria fortuna fin dall'antichità, Virgilio rappresenta uno snodo cruciale nella cultura europea. Tramite l'emulazione e il superamento dei modelli greci, egli fissa il canone di alcuni dei più importanti generi letterari: in un crescendo di impegno stilistico e contenutistico, il poeta augusteo riformula la poesia pastorale nelle Bucoliche, il poema didascalico nelle Georgiche, e l'epica nazionale nell'Eneide. Inoltre, il modo in cui riflette sulla crisi a lui contemporanea nelle Ecloghe e nel poemetto georgico, e riconosce la ragione dei vinti nell'Eneide, rivela in lui una sensibilità dai tratti straordinariamente moderni: a distanza di oltre due millenni Virgilio ha ancora molto da dirci.
La vita di Virgilio si presenta tranquilla e priva di eventi significativi, totalmente consacrata al lavoro poetico.
Publio Virgilio Marone nacque presso Mantova (forse ad Andes, ma l'identificazione del sito preciso è controversa) il 15 ottobre del 70 a.C. da piccoli proprietari terrieri. I luoghi della sua educazione devono essere stati Roma e Napoli.
La cronologia del periodo giovanile è discussa. Un'informazione di particolare interesse si ricava da una poesiola attribuita a Virgilio, la quinta della raccolta Catalepton (compresa nella cosiddetta Appendix Vergillana); vi si allude a una scuola che il giovane Virgilio avrebbe frequentato, a Napoli, presso il filosofo epicureo Sirone. Il valore della testimonianza è discusso, perché la poesia potrebbe anche essere, da un punto di vista qualitativo, opera di un Virgilio giovane, ma il contenuto autobiografico potrebbe altrettanto bene derivare dall'opera di un falsario, ansioso di riempire un vuoto nella carriera del giovane poeta. D'altra parte il primo testo che Virgilio ha sicuramente composto, le Bucoliche, denuncia chiaramente frequentazioni epicuree. La datazione delle Bucoliche è, nelle sue linee generali, accertata ma si collega a un episodio non del tutto chiaro. Virgilio allude più volte nell'opera ai gravi avvenimenti del 41, quando nelle campagne mantovane ci furono confische di terreni, destinate a ricompensare i veterani della battaglia di Filippi (42a.C.): il dramma dei contadini espropriati è riecheggiato in particolare nella I e nella IX ecloga. Secondo una notizia antica, Virgilio stesso aveva perso nelle confische il podere di famiglia, e l'aveva poi riacquistato. Per intervento di chi? Le fonti antiche non sono chiare in proposito; si è pensato a Ottaviano in persona o ad alcuni influenti personaggi citati direttamente nelle Bucoliche: Asinio Pollione, Cornelio Gallo, Alfeno Varo, tutti, in qualche modo, coinvolti nell’amministrazione del territorio transpadano. A oggi la questione resta aperta.
Le Bucoliche non recano alcuna traccia di quello che sarà il grande amico e protettore di Virgilio, Mecenate, mentre vi ha notevole rilievo la figura di Pollione, che poi sparirà del tutto dall'opera di Virgilio.
Subito dopo la pubblicazione delle Bucoliche, Virgilio entra nella cerchia degli intimi di Mecenate e quindi anche di Ottaviano (38 a.C.). Nei lunghi anni di incertezza e di lotta politica che vanno sino alla battaglia di Azio (31 a.C.) Virgilio lavora al poema georgico, in piena sintonia con l’ambiente di Mecenate. Non sembra però che amasse Roma: la chiusa delle Georgiche parla di Napoli come luogo d'elezione, dove trovare la tranquillità e il raccoglimento necessari alla scrittura. Nel 29 Ottaviano, che torna vincitore dall'Oriente, si ferma ad Atella, in Campania, e lì si fa leggere da Virgilio le Georgiche appena terminate. Da qui in avanti, il poeta fu tutto assorbito dalla composizione dell'Eneide, seguita con grande interesse dallo stesso Augusto. Virgilio visse abbastanza da leggere al principe alcune parti del poema, ma non tanto a lungo da completare l'opera: l'Eneide fu pubblicata postuma per volere di Augusto e per cura di Vario Rufo. Il poeta era morto il 21 settembre del 19 a.C. a Brindisi, di ritorno da un viaggio in Grecia e fu sepolto a Napoli. La fortuna dell'opera, che già negli anni precedenti al 19 era attesa e preannunciata negli ambienti letterari, fu immediata.
Sulla figura di Virgilio ci è giunta una serie di Vitae, tardoantiche e medievali, nelle quali sono probabilmente confluite notizie affidabili derivanti da Svetonio: la più famosa di queste Vitae si deve a Elio Donato, il grande grammatico del IV secolo. Tutte le opere autentiche sono ampiamente commentate sin dal I secolo d.C.; fra i testi conservati, di particolare importanza è il commentario di Servio (IV-V secolo d.C.), che contiene anche informazioni biografiche, non sempre attendibili.
1) MANTOVA e il MINCIO nei versi di Virgilio
Intorno al Mincio i colori ei suoni di sempre
ecl. 7, 12-13
HIC VIRIDIS TENERA PRAETEXIT HARUNDINE RIPAS MINCIUS,EQUE SACRA RESONANT EXAMINA QUERCU
qui orla le verdi rive di canne flessuose il Mincio, e ronzano dalla sacra quercia gli sciami
Lamento sugli espropri subiti dai contadini mantovani
ecl. 9, 27-28
SUPERET MODO MANTUA NOBIS, MANTUA VAE MISERAE NIMIUM VICINA CREMONAE
purché rimanga a noi Mantova, Mantova ah troppo vicina all’infelice Cremona.
La rievocazione della patria si accompagna sempre al ricordo dei danni subiti
georg. 2, 198-199
ET QUALEM INFELIX AMISIT MANTUA CAMPUM PASCENTEM NIVEOS HERBOSO FLUMINE CYCNOS
e una pianura come quella che Mantova, infelice, ha perduto – nutriva cigni nivei
sull’erba dei fiumi.
Per Virgilio i progetti e la gloria della poesia sono un tributo alla sua patria mantovana
georg. 3, 12-15
PRIMUS IDUMAEAS REFERAM TIBI, MANTUA, PALMAS,
ET VIRIDI IN CAMPO TEMPLUM DE MARMORE PONAM
PROPTER AQUAM, TARDIS INGENS UBI
FLEXIBUS ERRAT MINCIUS ET TENERA PRAETEXIT HARUNDINE RIPAS.
Primo ti porterò, o Mantova, le palme idumee e in una verde pianura alzerò un tempio di marmo vicino all’acqua, dove il vasto Mincio va errando in curve pigre e vela le rive di molle canna.
L’orgoglio dell’antica alleanza di Mantova con Enea
OCNUS QUI MUROS MATRISQUE DEDIT TIBI, MANTUA, NOMEN,
Aen. 10,198-206
MANTUA DIVES AVIS, SEDNON GENUS OMNIBUS UNUM
….
PATRE BENACO VELATUS HARUNDINE GLAUCA
MINCIUS INFESTA DUCEBAT IN AEQUORA PINU.
Ocno…, lui che a te diede, o Mantova, mura e nome della madre, Mantova ricca d’avi; ma non tutti di un’unica gente… (le forze mantovane che) muovendo dal paterno Benaco, il Mincio, ombreggiato da glauche canne, guidava in mare su nave guerriera.
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2) dalle BUCOLICHE
Il placido inizio della prima egloga nel mondo apparentemente felice dell’Arcadia
TITYRE, TU PATULAE RECUBANS SUB TEGMINE FAGI ecl. 1,1
Ti tiro, tu disteso all’ampio riparo di un faggio
L’universale gioco del desiderio
TRAHIT SUA QUEMQUE VOLUPTAS ecl. 2, 65
Ognuno è spinto dalla sua propria passione
L’invito ad alzare il livello del discorso
PAULO MAIORA CANAMUS ecl. 4, 1
Cantiamo argomenti un po’ più importanti!
La condizione per la piena umanità è l’affetto riconoscente verso i genitori
QUI NON RISERE PARENTES/ NEC DEUS HUNC MENSA, DEA NEC DIGNATA CUBILI EST ecl. 4, 62-63
Chi non ha sorriso ai genitori non ha avuto l’amicizia di un dio o l’amore di una dea
La sconsolata ammissione di fronte ai mali della storia ecl. 9, 5
FORS OMNIA VERSAT
tutto è in dominio del Caso
Il riconoscimento della forza invincibile dell’amore
OMNIA VINCIT AMOR ecl. 10, 69
Tutto vince Amore
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3) dalle GEORGICHE
La fatica umana sa superare ogni difficoltà
LABOR OMNIA VICIT Georg.1, 145
Il lavoro ha domato tutto
L’invito di Mecenate a comporre le Georgiche richiede un grande impegno
HAUD MOLLIA IUSSA Georg.3, 41
I tuoi non lievi comandi
È possibile fare paragoni che sembrano sbilanciati
SI PARVA LICET COMPONERE MAGNIS Georg.4, 176
Se ciò che è piccolo si può confrontare con ciò che è grande
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4) dall’ENEIDE
Ciò che definisce Enea
PIUS AENEAS passim
Il pio Enea
Gli effetti del naufragio sulla superficie del mare
RARI NANTES IN GURGITE VASTO Aen. 1,118
Qua e là pochi che nuotano sul vasto gorgo
La minaccia di Nettuno ai venti scatenatisi senza il suo permesso
QUOS EGO… Aen.1, 135
Quelli che io ho…
Enea incoraggia i suoi arrivati naufraghi sulla costa africana
FORSAN ET HAEC OLIM MEMINISSE IUVABIT Aen.1, 203
Forse anche questo un giorno sarà bello ricordare
Giove assicura Venere che ai Romani ha assegnato un potere senza limiti IMPERIUM SINE FINE DEDI Aen. 1, 279
Un impero senza fine ho assegnato
Le sciagure inducono alla compassione
SUNT LACRIMAE RERUM Aen.1,462
Le sventure trovano compianto
Le sconsolate parole con cui Enea inizia il racconto delle sue sventure
INFANDUM, REGINA, IUBES RENOVARE DOLOREM Aen. 2, 3
(Tu vuo’ ch’io rinovelli /disperato dolor che ‘l cor mi preme, Dante, Inf.33, 4-5) Un indicibile dolore, regina, mi ordini di rinnovare
Enea cede alla richiesta di narrare le sue vicende
SED SI TANTUS AMOR… Aen.2, 10
Ma se così grande è la tua brama…
L’avvertimento di Laocoonte a non fidarsi del dono del cavallo fatto dagli Achei
TIMEO DANAOS ET DONA FERENTIS Aen.2,49
Temo i Danai, anche se essi portano dei doni
Il disperato avviso di Enea ai compagni, tutti pronti a dare la vita anche se la patria è perduta
UNA SALUS VICTIS NULLAM SPERARE SALUTEM Aen.2, 354
Unica salvezza per i vinti: la disperazione di qualsiasi salvezza
L’inizio dei notturni
NOX ERAT… Aen.3, 147 + 4, 522 + 8, 26
La notte regnava…
Didone sente di nuovo la passione che voleva estinta
AGNOSCO VETERIS VESTIGIA FLAMMAE Aen. 4, 23
“Conosco i segni de l’antica fiamma”, Dante, Purg. 30, 48
Didone invoca un suo discendente (= Annibale) che la vendicherà
EXORIARE ALIQUIS NOSTRISEX OSSIBUS ULTOR Aen.4, 625
Sorga qualcuno dalle mie ossa a vendicarle
Compianto sui morti anzi tempo
FUNERE MERSIT ACERBO Aen.6, 429 + 11, 28
(un oscuro giorno) li consegnò ad un funerale precoce
Iniziata la raffigurazione di Icaro, al padre Dedalo, sopraffatto dal dolore, mancò la forza di proseguire
CECIDERE MANUS Aen.6, 33
Le mani ricaddero
Il compito dei Romani
PARCERE SUBIECTIS ET DEBELLARE SUPERBOS Aen.6, 853
Risparmiare chi s’arrende e sgominare chi si ribella
Il rimbombo di uno squadrone a cavallo al galoppo nella pianura
QUADRUPEDANTE PUTREM SONITU QUATIT UNGULA CAMPUM Aen. 8, 596
I quadrupedi battono i rombanti zoccoli sulla soffice campagna
Compianto su Eurialo e Niso
FORTUNATI AMBO! SI QUID MEA CARMINA POSSUNT/ NULLA DIES UMQUAM MEMORI VOS
EXIMET AEVO Aen. 9, 446-447
Fortunati entrambi! Se qualche potere hanno i miei carmi, nessun giorno mai vi strapperà alla memoria dei secoli
La convinzione che incoraggia l’audacia, nelle parole di Turno ai suoi
AUDENTES FORTUNA IUVAT Aen.10, 284
La fortuna asseconda gli audaci
L’avvertimento a non farsi ingannare dalla fortuna del momento
NESCIA MENS HOMINUM FATI SORTISQUE FUTURAE Aen.10, 501
O mente degli uomini ignara del destino e della sorte futura!
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L’epitaffio sulla tomba di Virgilio
MANTUA ME GENUIT, CALABRI RAPUERE, TENET NUNC / PARTHENOPE: CECINI PASCUA, RURA, DUCES.
Mantova mi ha generato, il Salento mi rapì la vita, ora mi accoglie Napoli: cantai i pascoli, i campi, gli eroi.