A differenza delle opere di Orazio il quale, come dice Paolo Fedeli, fu il più autobiografico tra gli autori latini, nelle opere di Virgilio si rinvengono pochi riferimenti alla sua vita, tanto meno ai suoi rapporti di amicizia, sia perché la materia del suo canto non lo permetteva sia probabilmente per il carattere riservato e schivo del poeta. Solo nel corpus dell’Appendix virgiliana, in particolare nel Catalepton, si ritrovano alcune notizie autobiografiche: ad esempio nel V componimento il poeta dà l’addio alla scuola di retorica per abbracciare la filosofia in particolare quella di Epicuro, oppure i tre carmi dedicati a tre amici Plozio Tucca (I), a Vario (VII) e a Messalla (IX), infine l’ottavo carme in cui saluta la piccola villa del maestro epicureo Sirone dove si trasferisce dopo la morte del filosofo. Sappiamo tuttavia che non tutti sono concordi nell’attribuire al poeta mantovano tali componimenti. Nelle opere maggiori troviamo solo pochi rinvii a ciò che succedeva al poeta e intorno al poeta nelle vicende dei vari personaggi, inventati o reali, come ricordiamo ad esempio per la dolorosa esperienza della confisca dei suoi possedimenti rappresentata nel dramma di Melibeo della I Ecloga oppure la partecipazione agli erotikà pathèmata dell’amico Cornelio Gallo nella X Ecloga. Dunque le notizie che abbiamo sull’amicizia tra i due massimi poeti dell’età augustea le dobbiamo soprattutto all'amico Orazio e alle biografie che dei due poeti sono arrivate fino a noi.
Tali biografie si devono innanzitutto a Svetonio che nel De poetis parla di entrambi. La biografia oraziana di Svetonio ci è giunta, quella di Virgilio ci è pervenuta per tradizione indiretta grazie al grammatico Elio Donato (IV sec. d.C.) che si rifece molto alla biografia Svetoniana nella prefazione al suo commento alle opere del poeta di Mantova , abbiamo poi varie biografie di Virgilio risalenti alla tarda antichità e al medioevo, periodo in cui sappiamo che l’opera di Virgilio ebbe una vasta eco. Per quanto riguarda Orazio, oltre alla già menzionata Vita Horatii di Svetonio, abbiamo varie biografie trasmesse in unione con il corpus pseudacroneo cioè l’insieme degli scolii all’opera di Orazio tramandati sotto il nome del grammatico Elenio Acrone, ( II secolo – III secolo) ma che sono una rielaborazione posteriore (detta, perciò, "Pseudo-Acrone") di autori medievali. Di grande rilievo è inoltre la Vita contenuta nel commento oraziano di Pomponio Porfirione ( III secolo) .
A guidarci però in questa ricostruzione del rapporto di amicizia tra i due sarà soprattutto l’opera di Orazio i cui riferimenti a Virgilio sono ben nove, inferiori per numero solo a quelli a Mecenate, ad Augusto e a Vario, altro grande amico di Orazio e Virgilio.
Partiamo da quella che è l’ode dedicata a Virgilio (1) in cui Orazio è in ansia per l’amico che sta partendo per uno dei suoi viaggi in Grecia. Siamo nell’
Ode I 3, 1-8 ;
Sic te diva potens Cypri
sic fratres Helenae, lucida sidera,
ventorum regat pater
obstrictis aliis praeter Iapyga,
navis, quae tibi creditum
debes Vergilium, finibus Atticis
reddas incolumem precor
et serves animae dimidium meae.
“Così ti sia di scorta la dea, signora di Cipro, così i fratelli di Elena, astri luminosi e il padre dei venti, dopo aver imprigionato tutti gli altri tranne lo iapige. O nave, che devi consegnare alle spiagge dell’Attica Virgilio,affidato alla tua custodia, consegnalo dunque, ti prego,sano e salvo e conserva in tal modo l’altra metà della mia vita”.
Nell’incipit di quest’ode, Orazio invoca Venere come “potens Cypri”, signora di Cipro, poiché la dea nata dalle spume marine, stando al racconto di Esiodo , era appunto moderatrice del mare; invoca poi Castore e Polluce la cui costellazione, come si vede anche ampiamente nell’ode I, 12 , si riteneva favorevole ai naviganti, in quanto aveva il potere di placare le onde minacciose del mare. Si rivolge poi anche al dio Eolo, padre dei Venti, pregandolo di incatenarli tutti tranne il vento Iàpige, o Favonio, che spirando da ovest verso est rende veloce la navigazione verso la Grecia. Infine chiede alla nave su cui viaggia Virgilio per andare ad Atene di far arrivare il suo caro amico sano e salvo a destinazione. In questo verso 8 l’allitterazione della M sembra voler sottolineare la dolcezza e la profondità del legame con Virgilio. Non è plausibile che si tratti del viaggio in Grecia che Virgilio compì nel 19 e da dove tornò tanto ammalato da morire poco dopol’arrivo a Brindisi, dovrebbe essere piuttosto uno degli altri viaggi che Virgilio fece per documentarsi su ciò che stava cantando nel suo superbo poema. Come notava Alfonso Traina, questa ode per l’amico Virgilio segue quella a Mecenate (il protettore) la I,1e quella a Ottaviano( il principe) la I,2; nelle prime tre Odi del I libro dunque Orazio racchiude il cerchio degli affetti. Tuttavia, a queste tre odi che, all’inizio dell’opera, segnano i punti fermi della vita affettiva di Orazio, segue l’ode a Sestio, console nel 23, tra le piu’ tristi scritte da Orazio (pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turris, la pallida morte batte con piede imparziale ai tuguri dei poveri e ai palazzi dei re). Sembra quasi che il Venosino, all’inizio dell’opera, voglia celebrare l’amicizia, tema centrale e ricorrente della sua poetica, ma che poi non possa fare a meno di parlare dell’altro suo pensiero dominante: quello della morte e della caducità della vita, temi questi che nell’ode I,4 a Sestio così come nell’ode II,14 a Postumo arrivano a considerazioni davvero angoscianti.
I rapporti tra i due poeti erano nati però diverso tempo prima rispetto all’occasione del viaggio di Virgilio ricordato nell’ode I,3: sappiamo infatti che entrambi, trasferitisi a Roma in età giovanile, uno dalla pianura Padana, dopo aver studiato a Cremona e a Milano, l’altro dalla siticulosa (epodo III,v. 16) Apulia, e si erano conosciuti probabilmente a Napoli presso la scuola dei filosofi epicurei Sirone e Filodèmo; insieme a loro a seguire i due filosofi c’erano anche Lucio Vario, Quintilio Varo e Plozio Tucca che rimasero poi gli amici storici, spesso menzionati da Orazio. E proprio qui a Napoli dalle fonti veniamo a sapere che a Virgilio per il suo carattere schivo, per la sua vita appartata venne attribuito il soprannome di Parthenìas ( verginello). Egli era figlio molto probabilmente di un proprietario terriero, anche se Elio Donato ci parla di un vasaio (opifex figulus), o anche di un apicoltore, con evidente allusione alle Georgiche; conosciamo dalle fonti anche il nome della madre di Virgilio, Magia Polla, che, secondo la leggenda dopo aver sognato un ramo di alloro in fiore, lo partorì in un fossato su cui poi nacque un pioppo chiamato “l’albero di Virgilio”. A proposito del nomen della madre di Virgilio, è interessante notare come il gentilicium Magius sia attestato in alcune epigrafi anche a Venosa e nelle zone limitrofe. Si tratta infatti di un nomen molto frequente in area osca e in particolare a Capua per una delle più eminenti famiglie di quella città. Passando alla famiglia di Orazio invece, egli,pur non citando mai il nome del padre, come sappiamo, ci dice senza vergogna anzi con orgoglio che era un libertus, mentre della madre non parla mai, il che ha fatto pensare che l’avesse persa da bambino.
Ed è probabilmente dopo l’esperienza napoletana che Orazio si trasferì ad Atene per completare i suoi studi e lì, arruolatosi nell’esercito di Bruto, partecipò alla battaglia di Filippi dove non si sa se per adesione poetica ad Archiloco e ad Alceo o se realmente, salvò la sua vita dopo aver abbandonato “non bene” lo scudo (Odi II,7, 9-10).
Al rientro di Orazio dalla Grecia, le vite dei due poeti si intrecciarono nuovamente, entrambi conobbero dolorosamente l’esperienza della confisca dei loro possedimenti terrieri da parte dei triumviri, fatto questo che segnò la conseguenza più tangibile del disastro delle guerre civili nelle vite dei due poeti. La reazione a questo evento però fu diversa: Virgilio evidentemente soffrì molto, portavoce di tale angoscia è Melibeo nella I Ecloga delle Bucoliche, però riuscì a non perdere del tutto i suoi beni grazie all’intervento di un misterioso protettore suo amico, il deus della I Ecloga,( Asinio Pollione, Cornelio Gallo o Alfeno Varo o lo stesso Ottaviano). Da questa sofferenza tuttavia nella IV Ecloga Virgilio approdò alla speranza di una palingenesi che, grazie alla nascita del famoso Puer, avrebbe garantito un nuovo futuro di pace e giustizia universale. Orazio invece, per il quale, proprio a causa della perdita del fondo paterno, iniziò un periodo di grande instabilità economica, non ebbe una visione ottimistica del futuro, come si evince dall’Epodo 16 che sembra una polemica risposta all’ottimismo dell’Ecloga IV di Virgilio. Su questi due componimenti, Epodo 16 di Orazio e Ecloga 4 di Virgilio, ci sono stati vari interessantissimi lavori filologici che hanno riguardato soprattutto la cronologia e dunque la derivazione: Orazio da Virgilio o Virgilio da Orazio? Aldilà di questa discussione è da sottolineare il profondo pessimismo di Orazio che come unica soluzione alla follia delle guerre civili( v. 2 “suis et ipsa Roma viribus ruit” Roma va in rovina per le sue stesse forze) vede la fuga verso le mitiche Isole fortunate “ Nos manet Oceanus circumvagus; arva, beata petamus arva divites et insulas” salpiamo per i campi beati, campi e isole fortunate Ep. 16, 41-42 . Solo dopo diversi anni, con Ottaviano ormai saldamente al potere, Orazio sembrò recuperare una certa fiducia e sicurezza nel futuro, in vari componimenti si può notare ciò ma in particolare nel carme III, 14 , dove per celebrare il ritorno di Augusto dalla guerra cantabrica (23 a.C.) il poeta proclama che sotto la guida del princeps ormai non temerà più tumulti e morte violenta “ego nec tumultum /nec mori per vim metuam tenente / Caesare terras”.vv.14-15-16.
Tornando al periodo post Filippi, Orazio, dopo essere stato ammesso nella corporazione degli scribae diventando scriba quaestorius, raggiunse una certa sicurezza economica e potè così dedicarsi alla sua passione poetica; i suoi componimenti iniziarono a girare a Roma, prima ancora della loro pubblicazione, pertanto venne conosciuto negli ambienti culturali e nel 38 presentato proprio dall’optimus Virgilio e da Vario a Mecenate cui sappiamo bene con quanta emozione si avvicinò da un’altra famosa citazione (2)che si trova in Sat, I,6,55:
optimus olim
Vergilius, post hunc Varius dixere quid essem.
Da quel momento si rinsaldò un sodalizio che durò tutta la vita. La frequentazione del circolo di Mecenate è l’elemento che ormai accomunava i sodales e per conoscere questa casa comune, ancora una volta Orazio ci viene in aiuto: nella famosissima Satira I, 9 ,quella dello scocciatore, ci descrive la cerchia di Mecenate e al quanto mai fastidioso conoscente che lo sta assillando, Orazio risponde che non c’è una domus più pura di quella di Mecenate né più immune dall’arrivismo e da vizi simili, non conta in quella casa essere più ricchi o più dotti,ognuno ha il suo posto “est locus uni cuique suus”, è una casa insomma da cui stanno lontane le rivalità personali e letterarie. Questa descrizione della casa di Mecenate è l’unico momento della gustosissima satira in cui il poeta, messo da parte il tono ironico e scherzoso, in modo serio e accorato cerca di descrivere il clima di amichevole collaborazione e di pura amicizia che caratterizza la domus comune a tutti gli amici, la domus di Mecenate appunto.
Passiamo ad un altro importante evento che vede insieme i due amici con gli altri etairoi e quindi alla terza (3) citazione di Virgilio in Orazio: nella primavera del 37 a.C. Orazio accompagnò Mecenate e Cocceio Nerva a Brindisi, in missione diplomatica presso Antonio al fine di sancire un nuovo accordo con Ottaviano. Di questo viaggio abbiamo un vivace resoconto nella Satira I,5, il famoso “iter brundisinum”. Durante il viaggio da Roma a Bindisi, a Sinuessa la comitiva fu raggiunta da Virgilio, Plozio Tucca e Vario Rufo. Orazio esprime tutta la sua felicità per questo ricongiungimento nei versi 39-44
Postera lux oritur multo gratissima. Namque
Plotius et Varius Sinuessae Vergiliusque
occurrunt, animae, qualis neque candidiores
terra tulit neque quis me sit devinctior alter.
O qui complexus et gaudia quanta fuerunt!
Nil ego contulerim iocundo sanus amico.
Traduzione:
“L'alba seguente
sorge lietissima come non mai:
a Sinuessa ci vengono incontro
Plozio, Vario e Virgilio,
anime che piú candide
non nacquero su questa terra
e a cui nessun altro è piú legato di me.
Che abbracci furono i nostri e che gioia!
Finché avrò senno,
niente paragonerò a un amico diletto”.
Quest’ultimo verso rende bene l’importanza che per Orazio ebbe l’amicizia, lui che non ebbe mai una compagna di vita e una sua famiglia, lui che tornato a casa dopo un giro nel circo Massimo e nel Foro, come ci dice in Satira I,6, 114-115, mangiava da solo servito dai suoi tre schiavetti, attribuì evidentemente all’amicizia uno straordinario valore,tanto che essa ispirò spesso e in modo schietto la sua poesia, nota infatti Ezio Cetrangolo che: “Ebbe dell’amicizia un raro senso, esemplare per ogni epoca, e dove forse è da ricercare la sua poesia più schiettamente felice.”
Sempre in questa occasione del ricongiungimento a Sinuessa durante il viaggio a Brindisi, ai versi 48-49 vediamo che :
Lusum it Maecenas, dormitum ego Vergiliusque;
namque pila lippis inimicum et ludere crudis
Orazio ci dà un’altra notizia che riguarda i tre amici: dopo essersi cordialmente ricongiunti, Mecenate va a giocare a palla, mentre Orazio e Virgilio preferiscono il riposo perché il Venosino è lippus ha problemi agli occhi e Virgilio è crudus cioè debole di stomaco, insomma pur avendo l’uno 28 l’altro 33 anni i nostri amici sono accomunati da problemi fisici e non si fanno coinvolgere nel gioco da Mecenate loro coetaneo, ma evidentemente più in salute . Sappiamo che successivamente Orazio purtroppo dovette fare i conti anche con un’altra patologia: la gotta.
Un’ulteriore citazione (5) di Virgilio nelle opere di Orazio si trova in Odi I, 24,9-12, si tratta di un’ ode scritta in occasione della morte del comune amico Quintilio Varo nel 24. Tutti soffrono per la perdita del sincero amico, ma più di tutti Virgilio.
Multis ille bonis flebilis occidit,
nulli flebilior , quam tibi, Vergili.
Tu frustra pius heu, non ita creditum
poscis Quintilium deos
“Molti onesti egli ha lasciato nelle lagrime; ma nessuno più di te, Virgilio. Tu inutilmente pio, richiedi agli dei Quintilio che non avevi raccomandato loro per un simile destino”.
Quintilio Varo con ogni probabilità è lo stesso cui Orazio aveva dedicato l’ode I,18 ( nullam Vare sacra vite prius severis arborem…) invitandolo a non piantare nessun albero prima della sacra vite, è lo stesso che Orazio ricorda poi nell’Ars poetica v. 438 come critico competente delle opere altrui. Evidentemente Virgilio nella sua sensibilità fu il più sconfortato tra gli amici per la perdita di Varo, soprattutto perché la sua pietas è risultata vana e le sue preghiere agli dei non sono state ascoltate.
Seguono ora altre citazioni dell’amico Virgilio da parte di Orazio (6-7) che riguardano aspetti più propriamente letterari: si trovano nella decima satira del I libro, la satira programmatica in cui il poeta, dopo aver criticato nuovamente Lucilio per i suoi versi poco cesellati e altri poeti del suo tempo come il turgidus Alpino, autore di poemi epico-mitologici e storico-geografici, passa in rassegna i suoi amici poeti esaltandoli per lo loro doti espressive, Satire I, 10,43-45:
Arguta meretrice potes Davoque Chremeta
eludente senem comis garrire libellos
unus vivorum, Fundani; Pollio regum
facta canis pede ter percusso; forte epos acer,
ut nemo, Varius ducit; molle atque facetum
Vergilius adnuerunt gaudentes rure Camenae.
“Tu solo tra i viventi sai ritrarre,Fundanio, con tono garbato la cortigiana scaltra o Davo che beffa il vecchio Cremete; Pollione in trímetri celebra le gesta dei re; ispirato, come nessuno,Vario scandisce il verso eroico; e le Muse, raggianti di campagna, donarono a Virgilio la musica e la grazia”.
Dunque cita Fundanio autore di vivaci commedie, Asinio Pollione, celebratore delle imprese dei grandi, Vario cultore vigoroso dell’epopea e Virgilio cui le Camene , le Muse italiche, amanti della campagna ( gaudentes rure Camenae) concessero la dolcezza e la facondia.
Questi poeti che ha citato, i suoi amici poeti, sono gli unici a cui Orazio vuole piacere, lo ribadisce pochi versi dopo ai vv. 81-83:
Plotius et Varius, Maecenas Vergiliusque,
Valgius et probet haec Octavius optimus atque
Fuscus et haec utinam Viscorum laudet uterque…
“Potessero Plozio e Vario, Mecenate e Virgilio,
Valgio, il mio buon Ottavio e Fusco
apprezzare i miei versi
e ambedue i Visco lodarli!”
Qui dunque Orazio menziona tra gli amici anche Plozio e Vario, di nuovo Virgilio con Mecenate, Valgio, il valente Ottavio , Fosco e i due Visco padre e figlio, il primo dei quali Vibius è citato dallo scocciatore nella satira I, 9 come grande amico di Orazio al pari di Vario. Orazio sa che la sua poesia può essere compresa solo da quei sodales che condividono le sue idee e la sua poetica, ispirata ai principi callimachei già presenti nei poetae novi e che i poeti di età augustea riprendono facendoli propri.
Virgilio è citato ancora(8) con Vario nella Ep.II,1 in cui Orazio, rivolgendosi ad Augusto, loda i due amici poeti dicendo che giustamente sono apprezzati dal princeps e ricevono la giusta mercede per il lavoro sublime che svolgono meglio di un artista che voglia raffigurare i volti di uomini grandi. Epistule II,1,247
dilecti tibi Vergilius et Varius poetae
Infine (9) il poeta di Mantova non poteva mancare nell’Ars poetica dove al v. 55 sempre insieme a Vario, viene citato come rinnovatore di parole, il venosino si chiede perché lui insieme appunto ai suoi amici Vario e Virgilio non possa portare innovazioni nella lingua e nelle parole, cosa che fu riconosciuta agli scrittori del passato come Plauto e Cecilio.
Ars poetica 55
Quid autem
Caecilio Plautoque dabit Romanus ademptum
Vergilio Varioque?
“E che, potrà Roma negare a Virgilio e a Vario quello che fu consentito a Cecilio e a Plauto?”
Orazio, che è molto sensibile alla questione del rinnovamento delle parole a causa dell’uso, fa ricorso qui ad una similitudine molto significativa quella delle foglie che ogni anno cadono per poi rinnovarsi in primavera. Tale similitudine come sappiamo, da Omero in poi fu ripresa da altri autori in riferimento all’avvicendarsi delle generazioni e delle stirpi degli uomini, Orazio la reimpiega per sottolineare i cambiamenti e il perpetuo rinnovamento delle parole.
Vi è un’altra citazione di un Virgilio nell’ode IV,12, ma secondo molti critici, e tra questi con convincenti argomenti anche Paolo Fedeli, non è il Virgilio poeta e amico di Orazio, pertanto non la prendiamo in considerazione.
Questi dunque i passi in cui Orazio cita il Mantovano, da questi si evince la grande stima per l’amico sia sul piano umano sia sul piano letterario; viene ora da chiedersi su cosa si basasse l’amicizia tra i due autori che, pur profondamente legati, avevano tuttavia caratteri molto diversi. Elio Donato per Virgilio ci dice che la caratteristica principale della sua indole era la mitezza: fin dalla nascita fu caratterizzato miti vultu da un volto mite; questa mitezza spesso lo portava ad un’accentuata timidezza e nella conversazione appariva addirittura impacciato, (in sermone tardissimus ac paene indocto similis nell’eloquio molto lento e quasi simile ad un ignorante), il suo atteggiamento timido e impacciato veniva meno solo nel momento in cui Virgilio declamava i suoi versi con grande partecipazione, oltre che con dolcezza e gentilezza, come riportavano alcuni suoi contemporanei. Quanto ad Orazio invece, come egli stesso dice, egli era “irasci celerem” facile all’ira e a volte l’ira non risparmiava neanche i suoi amici (Epistula I,8,9). Le caratteristiche così tanto differenti delle loro personalità sembrano essere ben rappresentate dai due fiumi delle loro zone di origine: da una parte il grande e mite Mincio descritto da Virgilio con i suoi lenti giri in Georgiche III, 12-15:
Primus Idumaeas referam tibi, Mantua, palmas
et viridi in campo templum de marmore ponam
propter aquam, tardis ingens ubi flexibus errat/
Mincius et tenera praetexit harundine ripas
“Per primo, o Mantova, ti riporterò le palme idumee (regione della Palestina) e in un verde campo edificherò un tempio di marmo vicino alle acque dove il grande Mincio scorre in lente anse, orlato sulle rive da tenere canne” .
Dall’altra il violento e impetuoso Ofanto di Orazio descritto in vari componimenti, ma in particolare, come sappiamo, nell’Ode III,30, 10:
Dicar, qua violens obstrepitAufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos.
“Si dirà che io,dove vorticoso rumoreggia l'Ofanto
e dove, povero d'acqua,Dauno regnò
su popoli agresti,da umile potente
per primo ho condotto la poesia eolica
ai modi italici”.
Non è un caso che in queste due citazioni entrambi i poeti, facendo riferimento ai due fiumi il Mincio e l’Ofanto, stiano parlando delle loro terre d’origine dove sperano di essere ricordati per le loro opere, in particolare Virgilio per aver portato in trionfo nella sua terra le Muse dopo averle tratte dalla vetta Aonia, la loro sede in Beozia, e l’altro per aver portato per primo l’Aeolium carmen ad italos modos cioè la poesia lirica greca alla poesia e ai ritmi latini.
Accanto a queste notevoli differenze caratteriali, sembra tuttavia che entrambi avessero una certa tendenza alla malinconia, alla riservatezza e ad una vita appartata condizionata quest’ultima anche dal principio del Lathe biosas epicureo, per cui Orazio preferiva la vita tranquilla della sua villa della Sabina, Virgilio i soggiorni nella sua villa di Napoli: si tratta del famoso tema soprattutto oraziano dell’Angulus. A proposito della malinconia, come sottolinea Italo Lana, “in un’atmosfera malinconica è immersa tutta la poesia di Virgilio”: negli scorci paesaggistici spesso colti al tramonto nelle Bucoliche (“et iam summa procul villarum culmina fumant/maioresque cadunt altis de montibus umbrae” e già laggiù il fumo si leva dai camini delle ville e più lunghe cadono le ombre dagli alti monti Ecl. I ), nei contadini scacciati dalle loro terre e nei loro amori non corrisposti, nell’amara constatazione che tutto è in balia delle cieca fortuna “Fors omnia versat” Ecloga IX,5; nella visione non idilliaca della natura nelle Georgiche, e, nonostante la fiducia nel Fato che muove e governa le vicende umane, (fiducia cui Virgilio arriva dopo quella che è stata definita “conversione” dall’epicureismo allo stoicismo) in tutta l’idea della vita che pervade l’Eneide, così come emerge dalla figura malinconica dello stesso eroe Enea e dei tanti personaggi che muoiono intorno a lui, soprattutto i giovani: Creùsa, Palinuro, Eurialo, Niso, Pallante, Lauso, Camilla.
Non meno evidente, anzi per certi versi, ancor più accentuata è la tendenza alla malinconia di Orazio. Lo pseudo-Acrone infatti lo definì melancholicus, alcuni critici hanno parlato di vera nevrosi, e in effetti, come notato dal Traina, i sostantivi e aggettivi che rinviano al lessico della tristezza e della malinconia nel poeta di Venosa sono tantissimi:uno fra tutti è il sostantivo CURA (affanno, preoccupazione) che ricorre una volta ogni 260 versi con i suoi sinonimi aegrimonia, aerumna, maeror, sollicitudo, tristitia mentre in Lucrezio, che pure è stato definito il poeta dell’angoscia, compare una volta ogni 337 versi. Sono tanti gli esempi che si possono fare riguardo la tendenza alla malinconia o addirittura alla nevrosi in Orazio, ne ricordiamo solo due: la critica o meglio l’autocritica che fa l’alter ego di Orazio, ossia il servo Davo, fa nella Satira II,7, 111-115:
“ adde quod idem/
non horam tecum esse potes, non otia recte/
ponere teque ipsum vitas fugitivus et erro,/
iam vino quaerens, iam somno fallere curam;
frustra: nam comes atra premit sequiturque fugacem.”
“Considera da ultimo che tu non riesci a raccoglierti in te stesso per lo spazio di un’ora, né ad impiegare degnamente i tuoi riposi; ma rifuggi da te come un profugo o un disertore, cercando di tuffare l’angoscia ora nel vino ora nel sonno. Vano tentativo! Chè essa, nera compagna, ti opprime e se tu corri ti insegue.”
Più tardi nella Epistula I,11 a Bullazio sappiamo che Orazio espresse questo suo malessere nella tanto famosa quanto efficace callida iunctura “Strenua inertia”
Questa tendenza alla malinconia di Orazio ovviamente si riversò in molti suoi componimenti e dunque nella visione della vita. Essa non risparmiò neanche il ruolo degli uomini eroici nella Storia e nel mondo: se ad esempio per Virgilio il Pius Enea avrà l’immortalità (Aen I 259) per Orazio nessuno scampa alla morte, neanche i comandanti vittoriosi come si evince dall’ode IV,7, 14-16
“Nos ubi decidimus/
quo pater Aeneas ,quo Tullus dives et Ancus,
pulvis et umbra sumus”
“noi, una volta caduti dove già il pio Enea, il ricco Tullo ed Anco, non siamo che polvere ed ombra.”
Non è certamente più ottimistica la concezione del tempo: come nota ancora Alfonso Traina, se in Virgilio esso va da sentimenti nostalgici per il passato “aurea fuere... saecula” in riferimento all’età aurea del dio Saturno(Aen VIII 324-325) a sentimenti anche di speranza per il futuro grazie all’età inaugurata da Ottaviano “aurea condet saecula” ( Aen VI 792-793), per Orazio invece il tempo è un’entità invidiosa dei mortali e a questi ruba continuamente i giorni , come si osserva ad esempio sempre nell’ Ode IV 7,7 “ìmmortalia ne speres, monet annus et almum/ quae rapit hora diem” la stagione e l’ora che rapisce il tempo concesso alla vita ti ammonisce.
L’uomo a sua volta tenta disperatamente di rubare al tempo i giorni e le occasioni ode I,11 “Carpe diem”, oppure Epodo 13, 3-4 “rapiamus amici /occasionem de die, dumque virent genua /et decet”.
Avviandoci alla conclusione, possiamo allora dire che la tendenza alla malinconia e una visione non certo idilliaca della realtà e della vita erano gli elementi che avvicinavano maggiormente i due. A questo si aggiungeva la comune dolorosa esperienza della confisca dei possedimenti familiari e in generale delle guerre civili. Ma forse in risposta a tutto ciò, come nota ancora Italo Lana, il vero legame tra i due poeti si basava sull’ “incontro del comune amore per la poesia e l’identificazione di se stessi con la poesia, con la propria poesia”, una poesia che diventa esperienza di vita e che sola può far sopportare le avversità e portare la fama del poeta oltre la stessa morte. Con la poesia attraversarono uno dei periodi più bui e drammatici della storia di Roma: la crisi e la fine della Res publica. Diventarono vates, cantori del principato e di quel Princeps che per la sua propaganda, attraverso Mecenate, li aveva voluti al suo fianco, spesso anche attraverso quelli che Virgilio chiamava “haud mollia iussa”, ordini non proprio leggeri. Essi però erano pienamente consapevoli che non potevano fare solo da portavoce alla propaganda augustea, dovevano intrecciarla con la propria visione della vita e del mondo, dovevano trovare un senso umano oltre che poetico e politico alla collaborazione con Ottaviano. Lo sforzo intellettuale e insieme umano che fecero in tal senso, oltre a tutti gli altri elementi che abbiamo riportato, li avvicinò moltissimo, evidentemente solo l’uno poteva comprendere l’altro e questo li rese protagonisti di un rapporto di amicizia unico, che sfida i secoli, così come sfida ancora il tempo la loro immortale poesia.
Francesca Liscio Docente Lettere classiche I.I.S.S. “Q. Orazio Flacco” ( Liceo classico) Venosa
Venosa, 28 aprile 2023
Gemellaggio Venosa- Borgo Virgilio
Bibliografia
T. Colamarino D. Bo “Q.Orazio Flacco - Le Opere” UTET 1969
A. Traina Introduzione a “Orazio Odi ed Epodi” BUR 1985
E. Cetrangolo “Lirica Latina” SANSONI EDITORE 1993
I. Lana Virgilio in “Storia della Civiltà greca e latina” UTET 1998
C. Carena Orazio in “Storia della Civiltà greca e latina” UTET 1998
P. Fedeli “Ponte nel tempo” – l’età augustea (corso di letteratura latina) FERRARO EDITORI 2010
P.Fedeli Orazio, Carm. 4,12:un’ode per Virgilio? Brepolsonline
Virgilio in Orazio
1) Odi I 3, 1-8
Sic te diva potens Cypri
sic fratres Helenae, lucida sidera,
ventorum regat pater
obstrictis aliis praeter Iapyga,
navis, quae tibi creditum
debes Vergilium, finibus Atticis
reddas incolumem precor
et serves animae dimidium meae.
2) Satire I,6, 52-55:
ambitione procul. Felicem dicere non hoc
me possim, casu quod te sortitus amicum;
nulla etenim mihi te fors obtulit: optimus olim
Vergilius, post hunc Varius dixere quid essem.
3) Satire I 5, 39-44
Postera lux oritur multo gratissima. Namque
Plotius et Varius Sinuessae Vergiliusque
occurrunt, animae, qualis neque candidiores
terra tulit neque quis me sit devinctior alter.
O qui complexus et gaudia quanta fuerunt!
Nil ego contulerim iocundo sanus amico.
…
48-49
Lusum it Maecenas, dormitum ego Vergiliusque;
namque pila lippis inimicum et ludere crudis
4) Odi I, 14, 9-12
Multis ille bonis flebilis occidit,
nulli flebilior , quam tibi, Vergili.
Tu frustra pius heu, non ita creditum
poscis Quintilium deos
5) Satire I, 10,40-4
Arguta meretrice potes Davoque Chremeta
eludente senem comis garrire libellos
unus vivorum, Fundani; Pollio regum
facta canis pede ter percusso; forte epos acer,
ut nemo, Varius ducit; molle atque facetum
Vergilius adnuerunt gaudentes rure Camenae.
6) Satire I, 10, 81-83
Plotius et Varius, Maecenas Vergiliusque,
Valgius et probet haec Octavius optimus atque
Fuscus et haec utinam Viscorum laudet uterque…
7) Epistule II, ,1,245-247
At neque dedecorant tua de se iudicia atque
munera, que dantis cum laude tuerunt
dilecti tibi Vergilius et Varius poetae
8) Ars poetica 53-55
Quid autem,
Caecilio Plautoque dabit Romanus ademptum
Vergilio Varioque?